La guerra è guerra, fa schifo da qualunque angolo la si guardi

Sono un nonviolento da quando ho sposato coscientemente questa attitudine a 16 anni e formata in qualche modo già da prima. In questo stesso blog la nonviolenza ha una categoria dedicata, proprio per l'interesse che ricopre nella mia vita.

Da quando è scoppiato il conflitto tra Russia e Ucraina non mi sono mai espresso; non ho scritto nulla sui social e mi rendo conto di averne parlato poco anche con gli amici. I motivi di questo silenzio sono svariati ma i primi che mi vengono in mente sono:

  • La guerra fa schifo, da qualunque punto di vista la si osservi. Un concetto talmente ovvio per cui non c'è molto di cui discutere.

  • È la cosa più stupida che l'umanità possa fare — e che regolarmente fa dall'alba dei tempi. Ci sono ancora dei folli carnefici che regolarmente arrivano al potere (qualcuno li vota); ma provo una gran tristezza nell'osservare tante persone approcciarsi all'argomento come se fosse una cosa normale da analizzare, giustificare, assecondare o condannare. Non c'è niente di normale in una guerra.

  • La diatriba che in questi tempi sento tra destra e sinistra, tra pro e contro, tra armamenti e non, la trovo così volgare e bassa che non l'ascolto e non la seguo più, figuriamoci mettermi a discutere su questo piano.

  • Non so davvero niente di geopolitica, di quella parte del mondo, di concordati NATO né tantomeno so quali schifezze vincolanti ci possano essere tra il nostro governo e gli USA. Non so niente di niente. Come posso opinare e aggiungere pochezza alla pochezza che già si sente in TV/social ogni giorno?

Non parlarne è però un problema che mi angoscia. Potrei mai fare menefreghista? O fare il pacifista quando ormai la frittata è fatta? O rinnegare i miei quarant'anni di ideologia radicata?

No, niente di tutto questo, non c'è dubbio al riguardo. Ma la paralisi c'è, e non nego che c'è anche un po' di timore per il prossimo futuro, molto più che in altri momenti altrettanto drammatici ma più lontani da noi o dalla nostra cultura.

Oggi però è successo qualcosa. Ho letto questa dichiarazione di Cecilia Strada — figlia di cotanto padre — che ha colpito nel segno perché descrive in maniera chiara ciò che provo.

Credo di avere messo a fuoco una cosa che mi disturba parecchio della narrazione della guerra in Ucraina, è una cosa che sta tra "Zelensky come Gandhi" e "eh ma il battaglione Azov".

La situazione è chiara: c'è un aggressore, la Russia, che ha invaso l'Ucraina e ne massacra i civili. L'esercito russo è il carnefice, la popolazione ucraina la vittima.

Il mio punto è questo: non c'è alcun bisogno di dipingere Zelensky come Martin Luther King, o di negare l'esistenza di neonazisti nel Paese (ricordiamoci che ce li abbiamo anche noi, eh), o di negare le contraddizioni o i problemi di un Paese per stare, come dobbiamo giustamente stare, dalla parte delle vittime. I leader ucraini potrebbero essere anche leader mediocri, potrebbero esserci anche trecentocinquantamila battaglioni Azov, potrebbero essere stati commessi crimini negli ultimi anni in Donbass, potrebbe essere tutto: e non cambierebbe di una virgola il fatto che la Russia è l'aggressore, l'Ucraina l'aggredito, uno il carnefice, l'altro la vittima, e bisogna difendere le vittime.

Perché mi preoccupa, chiamiamola così, "l'idealizzazione della vittima"? Perché la necessità di proteggere le vittime dai loro carnefici non ha e non deve avere nulla, nulla, nulla a che fare con le qualità morali della vittima. Non si proteggono le vittime perché sono brave, irreprensibili, perfette. Si proteggono perché è giusto, e lo si fa anche quando hanno contraddizioni, anche quando non ci piacciono. Altrimenti, che cosa succede? Succede che quando la vittima ci piace un po' meno, o ci interessa poco o non ci piace affatto, non sentiamo più il bisogno di proteggerla. E questo non va bene. Succede che si sente dire "eh, ma il battaglione Azov!", come se cambiasse qualcosa: allora, visto che ci sono dei brutti ceffi nel Paese, i crimini di guerra sono meno crimini? I civili massacrati sono meno morti? La Russia è meno aggressore? No.

Ecco, per come la vedo io, "Zelensky come Gandhi" e "eh ma il battaglione Azov!" derivano dallo stesso, pericoloso errore. Si sta dalla parte delle vittime perché tra carnefice e vittima si protegge la vittima. Indipendentemente da tutto il resto.

La vedo così.

Cecilia Strada

Mettere gusti e credenze personali o ideologie sopra questo assunto assoluto, è molto, molto, molto ingiusto e pericoloso, anche per noi stessi.

Mi ha anche ricordato ciò che ho scritto qualche tempo fa studiando Garibaldi, l'estremo coerente un patriota italiano, che ha ben chiaro che è pronto a combattere per l'Italia solo per guerre di liberazione e che se mai l'Italia dovesse invadere altre nazioni, lui combatterebbe contro l'Italia. E coerentemente ha combattuto — gratis — molte guerre che non gli appartenevano, solo per difendere le vittime.

Un uomo che combatte per difendere la patria, è un soldato da rispettare. Se combatte in una guerra di aggressione, è un soldato da non rispettare. Ma che l'uomo il quale facendosi cosmopolita adotta l'umanità come patria e va ad offrire la spada e il sangue ad ogni popolo che lotto contro la tirannia, è più di un soldato, è un eroe.

Ora, se fossi coerente con quanto ho scritto nello stesso articolo, dovrei prendere armi e bagagli e partire alla volta dell'Ucraina. Ma non sono un soldato, non so fare quel mestiere, sono un fifone e ho una figlia a cui pensare. Ecco, sono forse io quello sbagliato? O gli animali che le guerre le fanno? 🤘


Riflessioni

Penso troppo, questo è sicuro. A volte scrivo ciò che penso e raccolgo qui le ie idee: mi piacciono questioni filosofiche, psicologiche, sociologiche, questioni legate alla genitorialità, alla giustizia, alle scoperte ovvie di ogni giorno, al senso della vita e anche alla morte. Mi reputo un umanista e credo fortemente nella scienza; non ho alcun Dio di riferimento ma credo nella spritiualità profonda a cui, purtroppo, mi dedico troppo poco.

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